Lo Spazio
L’opera fa parte del ciclo dedicato alle "Tavole allestite con elementi di design", è realizzata su un tessuto cangiante che contribuisce a dare profondità all’immagine e accentua le trasparenze di alcuni elementi della composizione, in particolare i due lampadari e la tenda in alto a destra.
Laura Fiume ha realizzato un gruppo di dipinti su tessuto ispirati a Expo 2015, l’evento internazionale sul tema del cibo e della nutrizione tenutosi a Milano. Fra le opere non potevano mancare le "Tavole allestite con elementi di design". L’opera n. 8, misura 3 metri per 1, ha trovato posto in una nicchia perfettamente illuminata per esaltare la texture del supporto e la materia pittorica dell’opera.
In questo quadro Fiume ha immaginato un'enorme scultura a forma di gallo. Tale forma, ricorrente nella sua produzione artistica, fa parte dell’idea che l’artista ha di architettura: costituita da immense sculture abitabili, antropomorfe o zoomorfe, ispirate, oltre che a quelle umane, alle forme del gallo, del toro e del cavallo.
Tra i suoi numerosi viaggi, Fiume si recò in Giappone per osservare i cambiamenti nel costume che si erano già manifestati nella Swinging London a metà degli anni Sessanta. In questo dipinto l’artista volle accostare un simbolo della cultura del passato, rappresentata dalla donna che indossa il tradizionale Kimono, a uno della cultura di quel momento, rappresentata dalla figura in minigonna.
I lavori di Aldo Rota permettono di entrare in intimità con il quadro, facendolo del pubblico, come se fosse lui a crearlo e non l’artista. I segni i suoi lavori possono rappresentare un veicolo che rimandano a una dimensione primordiale e tribale, a volte anche spirituale. Una sorta di ritorno alle origini, ma in un contesto attuale.
I lavori di Aldo Rota permettono di entrare in intimità con il quadro, facendolo del pubblico, come se fosse lui a crearlo e non l’artista. I segni i suoi lavori possono rappresentare un veicolo che rimandano a una dimensione primordiale e tribale, a volte anche spirituale. Una sorta di ritorno alle origini, ma in un contesto attuale.
Realizzata nel 1939 da Agenore Fabbri (1911-1998), la scultura bronzea rappresenta un fanciullo ignudo, seduto con postura leggermente china, intento a levar l'amo dal pesce appena pescato. La composizione è rilassata, lo sguardo lieve, il modellato trasmette sensualità. L'opera ha una base che reca data e firma dell’artista, ed è inserita in un basamento metallico a tre gambe. Lunghezza e altezza sono di 60 cm, mentre la larghezza è di 40 cm. La scultura testimonia la giovane stagione creativa dell’artista, antecedente alla fase espressionista che ne ha poi caratterizzato la produzione, e fu acquistata dal Comune di Milano nel 1940.
Realizzata nel 1931 da Antonio Vitaliano Marchini (1888-1971), la scultura bronzea rappresenta due figure femminili accostate in raccoglimento, di cui una è seduta a mani conserte e con la testa inclinata a significare un momento di sconforto, mentre alle spalle troviamo l’amica che si avvicina leggermente china quasi a voler consolare il patimento. Le due figure non sono complete ma anzi sono troncante alle gambe che affondano nella base (sulla quale è incisa la firma dell’artista). Il gruppo scultoreo Le amiche, di dimensioni 65 x 50 x 25,5 cm, rivela l'umanità semplice e intrisa di sentimento dei suoi valori ideali. L’acquisizione da parte del Comune di Milano risale al 1938.
Il dipinto fu inventariato come opera del pittore Govaert Flinck (1615-1660), ma in realtà si tratta di una copia di autore incerto di un dipinto del maestro olandese raffigurante Rembrandt. La tela, realizzata con la tecnica della pittura a olio, raffigura un uomo di mezza età, leggermente di tre quarti: il busto appare avvolto da un mantello rosso, sul quale spiccano il colletto bianco arricciato della camicia e i riflessi dorati di una catena appesa al collo. L'uomo ha baffi e pizzetto curati, di colore castano chiaro come i capelli, in parte nascosti da un cappello floscio di colore nero, che si confonde nella tonalità scura dello sfondo. Il quadro, che ha una cornice dorata e dimensioni 40 x 54 cm, proveniva da una collezione privata del Conte Lodovico Belgiojoso e fu donato al Comune di Milano nel 1955.
Dario Goldaniga ha individuato nel bronzo il suo materiale d’elezione; dopo anni di ricerca e creazione con la tecnica della fusione a cera persa, il suo sguardo è stato attratto dal quel momento cruciale in cui il metallo incandescente ricolma lo stampo e zampilla fuori. Il bronzo in eccesso raffredda e solidifica rapidamente in pezzi, spesso grezzi, scuri e contorti, dalle forme e dimensioni più svariate. L’artista scava tra gli scarti bronzei raccolti, ognuno unico ed irripetibile, scegliendo quelli precisi che servono a comporre la sua opera e li assembla saldandoli insieme. Avviene così una vera e propria resurrezione della materia: lo scarto escluso dal processo di fusione di un’altra opera, ha una seconda possibilità e può finalmente sublimare in arte. Le sue sculture spaziano dalle figure di planisferi, mappe, astri, animali e mappamondi, tutte immagini appartenenti al mondo naturale.